Perché parlare di parità di genere all’interno di una manifestazione dedicata alla salute della donna?
Si è concluso domenica 12 maggio, il Festival Donna e Salute, ambientato nelle incantevoli Terme di San Giuliano (Pisa), dedicando la conclusione della manifestazione al confronto e alla riflessione sulla parità di genere e in particolare, sulla “educazione alla parità”, che ha visto anche la partecipazione di Dols insieme ad altre studiose, ricercatrici ed esperte del settore.
Perché parlare di parità di genere all’interno di una manifestazione dedicata alla salute della donna?
Per tanti validi motivi. In primis, il benessere della donna non può prescindere dal raggiungimento della parità e dell’uguaglianza di diritti e opportunità e la donna può raggiungere una condizione di soddisfazione e realizzazione, e quindi di benessere, solo nel momento in cui le è riconosciuta la libertà di essere e di esprimere se stessa.
Inoltre parlare di parità di genere implica sviluppare una CULTURA DI GENERE.
Che cosa s’intende per “cultura di genere”?
In primis, iniziare a pensare e parlare in termini di differenze, ovvero contemplare che esistono due esseri umani – uomo e donna –che hanno caratteristiche e peculiarità diverse, che ad oggi trovano conferma nella scienza che ha evidenziato l’esistenza di due cervelli con struttura e funzionamento diversi.
Pertanto promuovere la cultura di genere implica partire dal riconoscimento di queste differenze e, come scrive Marzio Barbagli, autorevole studioso in materia di famiglia e autore del rapporto “la sessualità degli italiani”, “non confondere le differenze con le discriminazioni” ma semmai vivere le differenze come spunto ed elemento positivo.
Ciò implica anche abbandonare, come dice la Prof.ssa Cecilia Robustelli associata di linguistica italiana all’Università di Modena e Reggio e collaboratrice dell’Accademia della Crusca, il maschile neutro e iniziare a promuovere una lingua di genere che implichi, almeno nel linguaggio parlato, il femminile alla stregua del maschile, in quanto, assicura la Professoressa, “è morfologicamente corretto”. Allora iniziamo a dire “avvocata, assessora, ministra…”, così da arrivare ad affermare un femminile che esiste e che deve trovare una prima forma di espressione e di riconoscimento nella lingua italiana, perché, come asserisce la Prof.ssa Robustelli, promotrice del linguaggio di genere, “ciò che non si dice, non esiste”.
Non solo. Promuovere una cultura di genere significa anche sviluppare una medicina di genere che consideri la salute e quindi l’approccio medico differenziato in base alle differenti caratteristiche degli uomini e delle donne, perché continuare a portare avanti una medicina unica e generale significa mantenere una visione neutra e omologata che nega l’esistenza di differenze di genere.
Sviluppare una cultura di genere implica considerare non solo le differenze di genere ma anche riconoscere le risorse e le potenzialità del genere femminile, alla stregua di quelle maschili.
Come ha sottolineato Patrizia Dini, ex-assessora dell’istruzione della Regione Toscana e ad oggi Segretario AICCRE Federazione Toscana (Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa), ciò implica considerare la donna “come fulcro della società”, sia perché è la donna a promuovere la crescita della specie umana e quindi del paese ma anche perché proprio per le sue potenzialità, la donna può apportare un valore aggiunto alla società.
Per promuovere una cultura di genere che implichi un abbattimento degli stereotipi di genere, è necessario incamminarsi lungo un percorso che non può che partire dalle radici, ovvero dalla formazione e dall’educazione delle nuove generazioni alla parità di genere nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze, perché, come sostiene Maria Grazia Anatra, docente di Scuola Superiore e promotrice di varie iniziative e progetti sulla parità di genere, “intervenire quando i ragazzi sono già adolescenti, è già troppo tardi”, perché oramai le convinzioni si sono radicate e strutturate.
Ciò trova conferma nella psicologia cognitivista che ci insegna come le convinzioni e le credenze mentali costituiscano la chiave di lettura con cui guardiamo e interpretiamo noi stessi, gli altri e il mondo e come questi bielief si strutturino nella prima infanzia in virtù delle esperienze dirette e indirette e i messaggi educativi ricevuti dalle figure di riferimento.
Pertanto se vogliamo cambiare la cultura popolare e sociale e sradicare gli stereotipi di genere, non possiamo che partire educando i bambini fin da piccoli a sviluppare un concetto del “diverso” (non solo di genere) quale motivo di curiosità, stimolo, conoscenza e arricchimento, e non come motivo di discriminazione.
E la scuola, che cosa può fare?
Spunti di riflessione e osservazioni critiche ci arrivano da Irene Biemmi, Ricercatrice del dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei processi culturali e formativi dell’Università di Firenze, la quale è abbastanza ferma e diretta nel sostenere che “la scuola non è un’oasi protetta dagli stereotipi di genere”, come invece saremmo indotti a pensare.
Infatti il fatto che la scuola sia prevalentemente in mano alle donne non implica che automaticamente formi e educhi alla parità.
In Italia l’81% degli insegnanti è donna, “caso unico”, dice Biemmi, “che non trova eguali negli altri Paesi Europei”. In particolare, precisa Biemmi, “osserviamo una struttura piramidale del corpo docente”: il 99% delle maestre della scuola dell’infanzia è composto da donne, percentuale che diventa il 95% nella scuola primaria, il 65% alle medie e il 55% alle superiori. Pertanto la presenza femminile si assottiglia mano a mano che si sale di livello di istruzione.
Un altro dato critico che osserviamo quando parliamo di istruzione è lo scarto fra il successo scolastico ottenuto dalle ragazze, che nella scuola hanno “il ruolo di vincenti”, e il mancato successo lavorativo.
“Questo gap”, spiega Irene Biemmi, “di solito è attribuito al mondo del lavoro. In realtà ci sono fattori causali anche dentro la scuola, dati da una segregazione formativa, ovvero da una canalizzazione delle ragazze e dei ragazzi verso percorsi formativi divergenti”. Questo elemento già si osserva alle superiori e poi nella scelta dell’università: la Facoltà di Scienze della Formazione, ad esempio, conta una presenza di studentesse pari al 91%, contro il 23% delle studentesse di ingegneria.
E quale è l’educazione veicolata a scuola anche attraverso i testi scolastici? Ancora un’educazione sessista, conclude Irene Biemmi.
Infatti in virtù di una ricerca condotta sui testi scolastici della IV elementare per valutare l’implementazione del codice POLITE (“Pari Opportunità nel Libri di Testo”), ha osservato come i testi scolastici lontani non si siano ancora adeguati al codice di autoregolamentazione europeo e da un’analisi qualitativa dei contenuti, emergono vari elementi che confermano ancora la presenza di stereotipi di genere nei libri di testo che inevitabilmente contribuiscono a mantenere una “educazione parziale”, come scrive Irene Biemmi nel suo libro “Educazione Sessista”, ovvero non completa e di parte.
Allora cosa possiamo fare?
Porci l’obiettivo di sviluppare una cultura di genere, con la consapevolezza che ciò implica un processo complesso che necessita di un intervento sinergico e integrato da parte delle istituzioni, degli agenti educativi (famiglia e scuola), delle reti e associazioni di donne, individuando alcuni punti fondamentale da cui partire. A tal proposito, ritengo che il linguaggio di genere, come evidenziato dalla Prof.ssa Cecilia Robustelli, e l’educazione alla parità sia a scuola che in famiglia (di cui parleremo in modo più approfondito) siano due cardini da cui poter partire.
3 commenti
Educare alla parità, ovviamente solo quando fa comodo a voi, se ci sono dei vecchi privilegi quelli bisogna mantenerli.
Le donne sono una razza superiore ed è giusto che sottomettano gli uomini perché sono tutti imbecilli e ragionano con l’uccello.
ci sono ragazze che fanno facoltà scientifiche e penso l’abbiano scelto..altrettanto penso di quante fanno scienza della formazione..sono restio a giudicare meno libere di per sè certe scelte di studio riguardo al proprio futuro rispetto ad altre..posto che ovviamente siamo un mix di natura e cultura e storia ma questo non rende gli uomini e le donne di oggi incapaci di decidere per sè, ed è importante certo che i bambini apprendano da libri scolastici i migliori possibili da ogni punto di vista
È difficile trovare persone competenti su questo argomento, ma sembra che voi sappiate di cosa state parlando! Grazie